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La Cattedrale e la sua storia

Nel cuore della Marmilla il centro di Ales domina il paesaggio circostante con il cupolone della sua Cattedrale

Il territorio arriva sino al Monte Arci dove si trova la piana di “Acqua Frida”, rinomata per la sua acqua, i boschi di leccio e la macchia mediterranea oltre che per la presenza abbondante di ossidiana. Il centro diede i natali a Antonio Gramsci e a lui è dedicata una scultura di Giò Pomodoro. La nuova struttura delle diocesi sarde voluta da papa Giulio II disponeva nel 1503 l’unione delle diocesi di Ales-Usellus e di Terralba con sede vescovile in Ales. La planimetria urbana rispecchia la sua funzione di sede vescovile. Nel paese si trovano tre chiesette, il seminario tridentino (1826) e l’Episcopio (1935). Su un colle vicino si trovano le rovine del castello di Barumele, presidio di difesa della via di accesso alla Marmilla. Una leggenda locale parla di un tunnel che collegava il forte dei Carroz con i sotterranei della cattedrale. Su una piana terrazzata raggiungibile mediante un’ampia scalinata, la cattedrale dei” Santi Pietro e Paolo” si impone nella parte alta dell’abitato di Ales. Costruita sull’antica chiesa romanica voluta da donna Violante Carroz, Marchesa di Quirra, nel XV secolo ma distrutta a causa di un incendio a fine XVI secolo. Oltre alla cospicua cifra di 5.000 lire lasciata per la sua costruzione esprime modalità costruttive e ordina di attingere alle sue fortune per completare l’opera. La prima fabbrica presentava una navata unica con capriate, tre cappelle e un campanile a vela. Nel 1686 mons. Cugia, vescovo di Ales, ne promuove la sua ricostruzione sotto la guida dell’architetto Domenico Spotorno, che negli stessi anni porta a termine la trasformazione in stile Barocco del Duomo di Cagliari. L’impianto della Cattedrale viene così ampliato e diviene a croce latina con la navata unica voltata a botte affiancata a quattro cappelle, transetto e cupola ottagonale di 36 metri impostata su pennacchi sferici. La navata è ritmata da paraste in stile ionico e archi doubleaux con lacunari. Di forte impatto è l’apparato decorativo marmoreo che viene rinnovato dal genovese Pietro Pozzo nel 1725. Il presbiterio è sollevato rispetto all’aula e delimitato da una elegante balaustra con quattro leoni marmorei che simboleggiano la Chiesa con ai piedi l’aquila che rappresenta l’impero romano ossia il paganesimo. Il primo leone partendo da destra è calmo e tiene l’aquila sotto controllo, il secondo la calpesta, il terzo doma l’ultimo tentativo di rivolta e il quarto la sovrasta ormai uccisa. Il basamento è decorato con intarsi di specchiature marmoree. L’ altare maggiore è coronato da statue a tutto tondo dei santi a cui è dedicata e al centro un’elegante edicola con angeli porta croce. Sulla destra vi è una credenzina marmorea che insieme al pulpito e al fonte battesimale presentano coerenza di decorazione e questa è una rarità nelle chiese sarde. Le decorazioni pittoriche sulle pareti della chiesa raccontano storie della vita dei due santi apostoli e hanno il loro epicentro nella cupola dove viene rappresentata la scena del martirio e della gloria. I dipinti anche se realizzati tardivamente (1950-62) contribuiscono a dare una proporzionata unità alla sua architettura e trasmettono un clima solenne e monumentale. La facciata è chiusa con un fastigio curvilineo definito a cappello di carabiniere, viene racchiusa da due torri campanarie, sormontate da cupole raccordate da un portico balaustrato con un solo ampio fornice composto da un arco a tutto sesto. Sono forti i riferimenti al duomo di Cagliari soprattutto nella zona presbiterale e del transetto. Oltre che apprezzabile per la coerenza degli aspetti formali è da sottolineare il rapido recepimento delle forme barocche che si stavano sviluppando in contemporanea nei maggiori centri d’Italia. La parrocchia è amministrata dal canonico Petronio Floris, coadiuvato da don Emmanuele Deidda.

Matteo Argiolas

 

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