Fratelli e sorelle,
da quasi mille anni la comunità cristiana, il giorno del 02 novembre, si raduna per fare memoria dei propri cari defunti. Una tradizione forse più antica del cristianesimo, ma che poi ha la fede cristiana ha fatto propria, nella consapevolezza che la preghiera e la memoria grata per i propri cari sia una delle opere di misericordia spirituale che il Signore e la Chiesa ci chiedono.
In questo giorno della Commemorazione dei fedeli Defunti, si intrecciano in ciascuno di noi molti sentimenti e riflessioni. Innanzi tutto, davanti al nostro cuore si fa strada la memoria dolorosa di una perdita. Che sia passato molto o poco il tempo, avvertiamo l’assenza di una persona amata, significativa per la nostra vita, che talvolta l’ha segnata profondamente. Pensiamo solo al ricordo dei nostri genitori, dei fratelli e sorelle, delle persone che ci hanno sostenuto e guidato nella vita.
Il Lutto, il pianto che lo caratterizza, è infatti il nostro modo per mantenere viva la memoria di una persona cara assente, che già non è più con noi. Per rispondere a questo dolore e a questa assenza, sin da tempi antichissimi (gli studiosi di antropologia parlano della preistoria), l’uomo cerca di affrontare la morte con la cura dei morti, la sepoltura dignitosa, il ricordo e anche la speranza di una vita diversa oltre la morte.
Ma accanto a questa memoria dolorosa, per noi cristiani subito si presenta la speranza della Resurrezione, ancorata alla parola di Gesù che ci invita ad avere fede in Lui, signore della Vita e ci offre la speranza della Resurrezione. IL luogo in cui noi portiamo i nostri defunti lo chiamiamo “cimitero” (dalla parola greca cemeterion, che significa “luogo di riposo”). Noi preferiamo questa parola a quella di “necropoli”, città dei morti, di tradizione più pagana, che non si apre alla speranza. I
IL luogo di riposo infatti fa pensare anche al momento in cui ci si sveglia. a un misterioso ritorno alla vita, di cui oggi non possiamo dire o capire con le nostre categorie di spazio e tempo. Dobbiamo fidarci della parola autorevole di Gesù: Chi crede in me non morirà in eterno…
La riflessione cristiana, infatti, da una parte ci ricorda che l’uomo è creatura fragile (fatto dalla terra) mortale e il suo corpo è destinato a ridiventare polvere, ma al tempo stesso ci ricorda anche l’alta nostra vocazione, di essere figli di Dio, di avere in noi il “soffio di Dio”, un segno di eternità.
Alla speranza della Resurrezione, come viene proclamata dalla nostra fede cristiana, noi aggiungiamo oggi anche l’atteggiamento e il sentimento di gratitudine nei confronti dei nostri morti. L’attenzione che poniamo nel curare la loro sepoltura, i fiori, la presenza e la preghiera, ma anche la memoria che conserviamo nelle nostre case attraverso una fotografia, sono segni di affetto e gratitudine per persone che ci hanno dato e fatto del bene.
La morte e il distacco non spengono la gratitudine, anzi proprio la consapevolezza di aver ricevuto del bene mantiene ancora più viva la nostra memoria.
Infine, la riflessione che il ricordo dei morti ci offre è anche quella di pensare alla nostra vita e alla nostra morte. Non per inoltrarci in pensieri lugubri, ma per fare ciò che il versetto del salmo 90 ci suggerisce: “In segnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del Cuore”. Cosa vuole dirci il salmista: che dobbiamo impegnarci nel vivere bene la nostra vita, il tempo che ci è dato, proprio considerando il fatto che non siamo immortali, che facciamo esperienza della morte (nei nostri cari, nelle persone vicine) e ci sarà un momento che toccherà a noi. Proprio questa consapevolezza non deve rattristarci, ma piuttosto invitarci a vivere bene, nel fare il bene, la nostra vita il tempo che ci è dato. San Paolo, nella lettera ai Galati (Gal 6, 10) ben sintetizzava questa riflessione con l’espressione “Dum tempus habemus, operemur bonum”( Sinché abbiamo tempo, facciamo il bene).
In conclusione, fratelli: ricordiamo oggi con affetto e nella preghiera, e nella speranza della Resurrezione i nostri fratelli e sorelle defunti. Preghiamo per loro come ci chiede e insegna la Chiesa, creando ancora quel legame di solidarietà tra la chiesa che già vive in Dio e quella che cammina nella storia e siamo noi.
+ Roberto Carboni