San Gavino Monreale. Il 19 ottobre scorso i delegati parrocchiali al seminario Caritas sui problemi educativi
Ci troviamo davanti a una emergenza come poche altre: i dati riguardanti i giovani che frequentano le scuole sono preoccupanti. Nella provincia di Oristano c’è un livello bassissimo di abbandono (9,7%), ma di contro siamo praticamente gli ultimi nelle competenze alfabetiche. Nella provincia del Sud Sardegna, seppure abbiamo delle isole felici per quanto riguarda le competenze (gli istituti che ricadono nell’ex Provincia di Villacidro sono di poco sopra la media nazionale), abbiamo una dispersione paurosa: il 26% dei ragazzi abbandona la scuola prima di conseguire un titolo di studio. La questione relativa all’educazione e alla scolarizzazione è perciò duplice: da un lato coloro che nel corso degli studi spariscono dal radar della scuola, dall’altro coloro che, pur frequentando la scuola, presentano uno scarso rendimento scolastico.
È inutile cercare colpevoli di fronte a questi dati allarmanti: a noi interessa provare a cercare strade per uscire da questa situazione. Ovviamente per fare questo è necessario individuare i vicoli ciechi in cui si perde chi non conclude un percorso di studi, o chi lo frequenta con scarso interesse e con scarso profitto personale e comunitario. La questione seria è dunque: cosa facciamo noi per coloro che interrompono gli studi? Per usare la ben nota metafora evangelica della pecorella smarrita, noi qui abbiamo 74 pecorelle al sicuro a scuola, ma 26 per i monti… Dove sono quei 26 del Sud Sardegna? E dove sono quei 9 della provincia di Oristano? Chi li intercetta? Ci accorgiamo di loro soltanto quando la combinano grossa e intervengono i carabinieri? Certo forse qualcuno di loro avrà avuto accesso al mondo del lavoro, ma altri sono finiti certamente in piazza a non fare niente, e diventano facili vittime di devianze come l’alcolismo, la droga, il gioco d’azzardo, il vandalismo, etc.
Noi crediamo profondamente che i giovani abbiano diritto a sperare di poter realizzare i loro sogni. Oggi forse sperimentiamo anche che essi non sognano più e comprendiamo che il lavoro educativo e culturale nei confronti delle giovani generazioni è davvero ampio e complesso, ma non possiamo tirarci indietro. La Caritas non può essere soltanto un distributore di alimenti o un pagatore di bollette: lo ribadiamo con fermezza perché questo sta alla base del nostro statuto: la Caritas ha il compito di riconoscere le povertà del nostro tempo e cercare misure volte a intervenire coraggiosamente, soprattutto in funzione dello sviluppo integrale delle persone. Tradiremmo il nostro statuto se pensassimo di dover essere solo erogatori di servizi.
Sia chiaro: noi dobbiamo certamente continuare ad aiutare materialmente le persone in forte disagio economico e sociale, non dimenticandoci però che senza una presa in carico della propria vita e della propria volontà non c’è futuro per nessuno. Vorrei dirlo con le parole di Carlo Borgomeo, Presidente di Fondazione CON IL SUD: «La questione della povertà educativa non è solo questione della scuola e neppure della scuola che tenta in modo più o meno efficace il coinvolgimento delle famiglie. La povertà educativa va combattuta con un impegno complessivo della comunità. […] Non si tratta, ovviamente, di mettere in secondo piano il ruolo della scuola che, al contrario, resta il riferimento essenziale, ma [si tratta di] estendere la responsabilità degli interventi all’intero territorio chiamato a costruire le condizioni che consentano la piena fruizione da parte dei minori delle opportunità di crescita».
È ovvio che le scuole devono e possono fare la loro parte, ma oggi ci rendiamo conto che non è più sufficiente: dobbiamo sviluppare una rete, dobbiamo promuovere ovunque la legalità, il senso e l’importanza dell’impegno nello studio, perché solo i nostri giovani, formati, capaci di stare al mondo, potranno risollevare le sorti della nostra terra. Cinquant’anni fa don Milani scriveva in Lettera a una professoressa parole lapidarie che ci feriscono per la loro durezza, ma sono ancora attualissime: «La scuola ha un problema solo. I ragazzi che perde».
Noi come Caritas, e lo dico rivolgendomi ai sacerdoti e agli operatori, come anche ai volontari delle associazioni che lavorano nel sociale, già lo facciamo da tempo, ma dobbiamo sempre più impegnarci a intercettare queste difficoltà nei nostri paesi, e a “inventarci” creativamente delle possibilità per venire incontro a coloro che sono indietro (dopo scuola organizzati nei locali parrocchiali, attenzione a chi non può permettersi l’abbonamento ai mezzi di trasporto, a chi non può permettersi altri servizi che sono necessari per andare a scuola). Possiamo incontrare queste realtà ogni volta che una famiglia viene a bussare alla nostra porta, informandoci sulla presenza di minori scolarizzati o no, e facendo opera di convincimento perché studino e siano diligenti. Ma ci sentiamo chiamati dalla situazione a fare qualcosa in più, insieme agli amministratori, agli insegnanti, ai dirigenti, al mondo del volontariato e dello sport. È necessario prenderlo come impegno tassativo per i prossimi anni.
Scheda storica
Nella seconda metà del 1700 mons. Pilo istituì una scuola di base (elementare) ad Ales, scuola nella quale passarono anche personaggi illustri come Giovanni Battista Tuveri. Anche a Guspini fu un sacerdote a lasciare la sua eredità per costituire una scuola, alla fine del 1700. Nel 1832 il Vescovo di allora mons. Tore istituì in tutti i paesi della diocesi una scuola normale (elementare), nominandovi contestualmente come maestro il parroco o il viceparroco del paese e a volte anche un laico. La nostra diocesi è stata protagonista, negli anni ‘50 e ‘60 della rinascita culturale del nostro territorio. Quando mons. Antonio Tedde arrivò vescovo ad Ales non esistevano Scuole Medie. Egli ne aprì due: ad Ales e a San Gavino, e successivamente anche a Guspini. Ad Ales e a San Gavino inoltre furono aperte due Scuole Magistrali parificate, così come connesso alla Scuola di Ales si aprì un collegio maschile per gli alunni fuorisede.