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Omelia per l’ordinazione diaconale di Andrea Martis

 CATTEDRALE DI ALES 27 GIUGNO 2020 

Sabato 27 giugno, nella Chiesa Cattedrale di Ales l’arcivescovo Mons. Roberto Carboni ha ordinatao diacono Andrea Martis, originario della comunità parrocchiale di San Giovanni Bosco in Guspini e attualmente studente presso la comunità dell’Almo Collegio Capranica. Giunga a don Andrea gli auguri del clero diocesano e di tutta la diocesi, per un fruttuoso tempo di servizio diaconale in preparazione all’ordinazione sacerdotale.

Carissimi fratelli e sorelle, carissimo Andrea, tutta la comunità cristiana si stringe a te in questo giorno speciale. Anche se la partecipazione fisica è ridotta a causa delle restrizioni che conosciamo, sono qui idealmente qui presenti la comunità cristiana di Guspini con la tua famiglia, il tuo parroco e molti parrocchiani e amici. È importante la presenza della comunità che ti ha accolto nel giorno del tuo battesimo e ti ha condotto per mano nei tuoi primi passi come cristiano, facendoti conoscere il Signore Gesù e ispirando i tuoi primi desideri di servirlo nel Ministero presbiterale.

È presente qui la comunità che non solo ti ha generato alla fede ma che pure ti ha accompagnato con la preghiera. Infatti la vocazione di ciascuno di noi ha bisogno di essere accompagnata, sostenuta, fortificata, resa solida dalla preghiera dei nostri fratelli. Nessuna vocazione, ma specialmente quella al ministero ordinato, è qualcosa di “personale” nel senso di privato. E’ piuttosto una scelta che coinvolte la comunità cristiana in molti modi, nasce dalla comunità ed è orientataalla comunità. Gesù quando chiama i suoi ripete spesso: “ecco io vi mando… andate” Infatti la vocazione al diaconato e al presbiterato non sono fine a sé stesse, ma sono un invio verso altri, verso la missione e l’annuncio. Non si tratta di una conquista personale, di un titolo di gloria o di potere, ma piuttosto di accogliere con consapevolezza la scelta del servizio: far conoscere il Signore Gesù, farlo amare, accettare, far vivere il vangelo nella vita quotidiana. È questo un aspetto che desidero sottolineare e che tu conosci bene. Nella preghiera di Ordinazione del Diacono, che tra poco sarà pronunciata su di te, si invoca Dio Padre Onnipotente perché tu “Sia immagine del tuo Figlio, che non venne per essere servito, ma per servire”. Viene qui tratteggiato il ritratto del vero discepolo e del diacono, caratterizzato dal servizio generoso, disinteressato, gratuito,di fronte ai piccoli, ai poveri a coloro con i quali il Figlio dell’uomo si identifica. La vocazione – chiamata è infatti un appello ad assumere i “sentimenti di Gesù, Figlio del Padre” che definisce sé stesso come “colui che serve”.  Come si fa a prendere questa “forma” di Cristo, ad avere i sui sentimenti? Si tratta certo di un dono del Signore: è Lui che ci conforma a suo Figlio. Ma si tratta anche della nostra risposta: Il cammino è quello di frequentare il Signore, di assimilare progressivamente il suo stile, il suo modo di pensare e agire. Solo in questo modo le nostre azioni saranno generate da quelle due passioni che devono animare ciascuno di noi: la passione per Cristo e la passione per l’umanità. Ecco caro Andrea non si tratta allora di fare tante cose, ma di fare bene, in profondità, con passione quelle che sono necessarie e soprattutto di lasciar trasparire nel tuo agire l’Immagine del Figlio che si è fatto servo. Il vangelo è chiaro: il criterio è l’accoglienza dei bisognosi, dei poveri, degli esclusi. Per questo il diacono è uno stretto collaboratore del vescovo in quell’esercizio della carità che deve sempre essere una costante nella preoccupazione della Chiesa. Anche in questo diaconato che prepara al ministero presbiterale, deve emergere lo stile di servizio concreto.

 In questi anni la formazione che hai ricevuto, prima in famiglia, poi nella comunità cristiana, in Diocesi e quindi nel Seminario Maggiore di Cagliari e che continua, seppure diversa, adesso al Collegio Capranica di Roma, è stata tutta orientata a far crescere interiormente la statura di Cristo in te.

Tante volte, in modo scherzoso ma anche serio, quando abbiamo parlato della ordinazione diaconale – ma lo stesso vale per quella presbiterale – ci siamo detti: non è importante tanto il “quando” ma piuttosto il “come”. Si voleva dire che è importante arrivare a questi momenti non tanto sollecitati da un’ansia di “terminare” qualcosa o di obbedire a uno standard o a un calendario, quanto piuttosto di fare una scelta ponderata, pensata, amata che ha aperto il cuore e la mente alla passione per il Signore e per l’umanità.

Nella liturgia oggi sono risuonate queste parole: “Scegliamo questo nostro fratello per l’ordine del diaconato”. Nella parola “scegliamo” c’è l’eco delle pagine evangeliche e della parola di Gesù: “non voi avete scelto, ma io vi ho scelto”. Il Signore, attraverso la voce e i gesti del vescovo ti sceglie per essere discepolo Suo.  Come si può tenere fede a queste promesse?  Come essere servi al modo di Cristo servo, come continuare la sequela il discepolato? Prima di tutto con un rapporto costante, profondo con il Signore. La Chiesa lo esplicita come un “dovere” alla preghiera. È certo un dovere ma prima di tutto deve essere l’ossigeno della tua vita. Non ci sono altri modi di portare frutto nella vita spirituale e anche nel ministero (se vogliamo che siano frutti duraturi) se non attraverso il tempo dell’incontro con Dio nella preghiera. Cristo ci chiama e ti chiama caro Andrea certo a seguirlo con uno stile di servizio, di accoglienza generosa e disinteressata, che per te diventa una vocazione, un ministero, una chiamata esigente nella tua vocazione al diaconato. Il brano evangelico di questa domenica contiene l’ultima parte del discorso missionario rivolto da Gesù ai suoi discepoli, ai dodici inviati ad annunciare il regno dei cieli ormai vicino. Cosa potrà dare al discepolo la forza di resistere di fronte a ostilità, calunnie, contraddizioni che minacciano anche le relazioni più comuni e quotidiane. L’amore, solo l’amore per il Signore! Ecco perché Gesù ha fato risuonare delle parole forti, che ci scuotono: “Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me”. Questa sentenza di Gesù può sembrare innanzitutto una pretesa inaudita e irricevibile. Gesù non insinua che non si debbano amare i propri genitori– come d’altronde richiede il quinto comandamento della legge santa di Dio (cf. Es 20,12; Dt 5,16) –, ma richiama l’amore che deve essere dato al Signore, amore che richiede di realizzare la sua volontà. Gesù si rallegra quando ciascuno sa custodire e rinnovare l’amore per l’altro – coniuge, genitore o figlio –, ma chiede semplicemente che a lui, alla sua volontà, non sia preferito niente e nessuno da parte del discepolo. Il discepolo, la discepola, dovrà avere la forza e il coraggio di fare una scelta e di dare il primato a Gesù, alla sua presenza viva e operante. Questa rinuncia dovuta a un’azione di discernimento ha un solo nome – continua Gesù –: prendere, abbracciare la propria croce, cioè in qualche modo la morte del proprio uomo vecchio, della propria condizione di creatura soggetta. L’amore per il Signore, dunque, conferma i nostri amori, se questi sono trasparenti, all’insegna della vera carità e vissuti con giustizia- Le parole di Gesù, ci rivelano che, dimenticando di affermare noi stessi e accettando di perdere e spendere la vita per gli altri, accresciamo la nostra gioia e diamo senso e ragioni al nostro vivere quotidiano. Ecco il programma di vita di un diacono: accogliere e servire i piccoli e i poveri, per manifestare quello che il Signore ci ha insegnato. 

+ Roberto Carboni, vescovo

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