Cari presbiteri e diaconi, fratelli e sorelle, il Signore vi dia pace!
Nella preghiera di Colletta abbiamo chiesto a Dio di darci la grazia di: “essere nel mondo testimoni della Sua opera di salvezza”. È una bella sintesi della vocazione a cui siamo chiamati tutti come popolo cristiano, e che oggi specialmente per i presbiteri, assume il solenne carattere di impegno che si rinnova nelle promesse sacerdotali, in comunione con il vescovo. “Essere nel mondo”: Possiamo intendere la parola “mondo“, anche come il momento storico che stiamo vivendo con le sue molteplici dimensioni: la situazione di incertezza a livello sociale, la fatica a comprendere verso dove ci stiamo dirigendo; il cammino non esente da fatiche, pesantezze e disorientamento che vive la Chiesa italiana. Anche la nostra Chiesa diocesana fatica a capire quale strada percorrere, frenata certo da tutto ciò che stiamo vivendo a causa della pandemia, ma anche incerta di fronte a questo “nuovo ecclesiale” che si intravvede, ma ancora non ha contorni ben definiti, e per questo ci spaventa. Come comunità cristiana, presbiteri e laici, siamo combattuti tra afferrarci saldamento a quello che abbiamo conosciuto nel passato e il desiderio, ma anche il timore di intraprendere nuovi percorsi. La parola di Papa Francesco non cessa di esortarci a una lettura attenta della realtà, a fare discernimento. Poche settimane fa ha invitato con forza la Chiesa italiana a riprendere il progetto di cammino sinodale “dal basso e dall’alto” che trova nella Evangelii Gaudium e nel Convengo di Firenze del 2015, le sue fonti ispiratrici.
L’invito della Colletta ad “Essere nel mondo” è, per noi presbiteri e laici, una responsabilità quotidiana; non possiamo “disertare questo appuntamento”, giacché si tratta della nostra storia attuale. Non possiamo fare “come se” le cose non avvenissero, come se il mondo non stesse cambiando, come se la comunità dei fedeli non vivesse incertezza e confusione e bastasse aspettare che tutto ritorni come prima. Dobbiamo dircelo con chiarezza: non si ritornerà a “come prima”; forse a “meglio di prima”, forse “diversamente da prima”, ma non a come prima.
Cosa leggiamo oggi, come presbiteri, nel nostro essere nel mondo? Facciamo esperienza, talvolta, nel nostro servizio pastorale di una percezione di frammentazione e dispersione. Ci rendiamo conto che non basta più cambiare qualche cosa, qualche “metodo pastorale” o aggiornare qualche riflessione. La Chiesa, nel suo essere e testimoniare il vangelo, chiede un cambio più profondo, ma non sappiamo bene in che direzione.
Ci domandiamo e domandiamo allo Spirito di Dio: Cosa dobbiamo e possiamo fare? Il primo passo da fare per “essere veri testimoni nel mondo” è quello di assumere coraggiosamente questo momento impegnativo, anche di disorientamento e ansia nel contesto di “cambio di epoca”.
Siamo chiamati ad accettarlo prima di tutto noi presbiteri e poi aiutare il corpo della Chiesa, i fedeli, ad assumere processo di trasformazione. Si tratta di pregare, riflettere con attenzione, condividere, studiare, ascoltare. Questi verbi, che vi invito a riprendere e meditare, mi sembrano il progetto più adeguato ad affrontare la situazione attuale, coinvolgendo tutte le componenti ecclesiali. Tutti noi ci chiediamo quale forma assumerà la nostra esperienza ecclesiale, come vivremo 1a nostra vocazione ad essere popolo di Dio guidato dallo Spirito Santo, quando terminerà questo lungo periodo di sospensione delle forme abituali e consuete nel nostro vivere la fede, Cari presbiteri e fedeli laici, ci rendiamo conto che tutta la chiesa, le nostre comunità ma anche noi siamo immersi in questa transizione. In questi anni siamo stati chiamati a ridefinire 1a nostra vocazione e identità cristiana e anche sacerdotale per rispondere alle sfide che incontravamo. Mettiamoci criticamente di fronte alla tentazione di cristallizzarci nel passato o di pensare a una ipotetica modernità ecclesiale protesa solo al futuro e senza radici: in entrambi i casi rischia di impedire l’azione dello Spirito Santo nella storia. Ecco, mi pare questo il senso della invocazione a Dio di “essere testimoni net mondo“. Dobbiamo metterci nella disponibilità di ascoltare con attenzione, ad accogliere le posizioni dell’altro e entrare in una dimensione di dialogo e ascolto reciproco. Dobbiamo incamminarci in questa prospettiva, dove l’altro mi può aiutare anche nel mio modo d personale di affrontare le sfide.
Purtroppo, facciamo fatica ad affrontare insieme le sfide, e la transizione in cui ci troviamo. Evitiamo la tentazione di frammentarci tra noi, perché questo indebolisce il nostro annuncio, la nostra missione. Seppure nella differenza dei percorsi pastorali che ci possono essere e che dobbiamo integrare, è necessario offrire il messaggio di unità e benevolenza tra noi. Questo perché i fedeli che percepiscono la frammentazione sono poi disorientati e ne perde la credibilità del presbiterio e della comunità stessa. Anche queste due indicazioni mi sembrano parte di un possibile programma di vita presbiterale e cristiana: unità e benevolenza, per contrastare la frammentazione e divisione che talvolta emerge e per superare una critica non costruttiva e senza misericordia.
La preghiera di Colletta chiede al Signore si essere TESTIMONI: Come essere testimoni oggi, presbiteri e fedeli laici? Al centro delle nostre preoccupazioni deve esserci l’evangelizzazione e anche la ripresa consapevole dell’invito di Papa Francesco, che esorta, come dicevo prima, a riprendere 1a Evangelii Gaudium per iniziare quel percorso Sinodale. Non possiamo nasconderci che la fede, nella quotidianità si è indebolita. Tante forme tradizionali di presenza e azione cristiana ha perso di efficacia. La vita reale formava anche il tessuto della fede nel quotidiano: La carità, la preghiera, l’animazione culturale e politica. Oggi risichiamo di essere una agenzia erogazione di servizi e risposte alle domande di devozione.
Essere testimoni vuol dire accogliere il momento di “transizione” della forma ecclesiale e impegnarci a suscitare la fede cristiana dentro la vita della gente nella sua carne, nei suoi legami. La fede in Gesù morto e Risorto deve tornare ad essere esperienza concreta, animare dal di dentro il tempo che viviamo.
È necessario superare la preoccupazione dalla salvaguardia e conservazione dell’organizzazione e delle strutture, per concentrarsi piuttosto nella ricerca e nella cura dei luoghi in cui prende forma l’esperienza cristiana come esperienza in grado di dire il senso della vita, della solidarietà, della cura, della inclusione.
Inoltre, dobbiamo crescere nella Collaborazione: dobbiamo approfondire questa prassi che non significa solo fare quanto è stato progettato, ma farci coinvolgere nella riflessione, a volte anticiparla, suggerire, proporre, stimolare. Dobbiamo ancora una volta uscire da quell’atteggiamento di stare alla finestra ma senza lasciarci coinvolgere. Piuttosto, ciascuno di noi può e deve dare il suo contributo, anche per la vita dinamica della comunità diocesana. Possiamo accogliere e utilizzare le “buone prassi” che altri hanno attivato nelle comunità, piuttosto che aspettarci grandi programmi elaborati da uffici o gruppi di lavoro, che possono certo essere utili, ma non devono diventare un alibi per la nostra inerzia o passività. È condividere tra noi quelle buone prassi che già vediamo efficaci e eventualmente discuterle, valutarle nel contesto specifico di ciascuna comunità. Questo significa però un atteggiamento di benevolenza e accoglienza dell’altro.
Infine, la preghiera di Colletta ci indica il compito a cui siamo chiamati: portare e testimoniare L’OPERA Dl SALVEZZA DEL SIGNORE.
Come accennavo, si tratta di metterci in dialogo con il presente e il vissuto della gente, per riattivare una dinamica che superi la routine. Riattivare esperienze di santità, di purificazione della capacità di amare, di maturare anche le strutture che fanno parte della Chiesa e si sono cristallizzate, anche le strutture di governo, lo stesso servizio del parroco e anche del vescovo, rendendole più agili, accoglienti. Dobbiamo credere che la nostra fede cristiana ha in sé elementi per riannodare legami tra noi, dare risposte ai bisogni affrontare insieme il nuovo che si affaccia.
Le parole di Gesù nella Sinagoga di Nazareth ancor una volta ci invitano a divenire strumenti di riconciliazione, guarigione, liberazione. Sono parole rivolte a tutti, ma che, come presbiteri, dobbiamo assumerle nel contesto della nostra vocazione specifica. Nelle promesse sacerdotali ci viene chiesto di assumere l’impegno di essere ministri della misericordia, annunciatori della Parola e ministri dell’Eucaristia. È la nostra vocazione, che possiamo sintetizzare in una frase: essere dei “guaritori feriti” – per usare una felice espressione di Henri Nouwen – per poter a nostra volta guarire gli altri e toccarli con misericordia. È Gesù che ci guarisce e chiamandoci alla sua sequela ci fa strumenti di guarigione. Siamo ben consapevoli che, come dice san Paolo, noi portiamo questo tesoro in “vasi di argilla”; riconosciamo le nostre fragilità e fatiche, ma al tempo stesso siamo consapevoli che si tratta di un dono di Grazia, totalmente gratuito, che fa risaltare nella nostra debolezza la presenza di Dio. Cari presbiteri, cresciamo in questo sguardo di benevolenza tra noi e nei confronti delle comunità che ci sono affidate, consegnando nelle mani del Signore le fatiche di questo anno, i momenti di incertezza, certi di quella parola del Signore che ci ha detto: “Io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo”.
Concludo questa riflessione esprimendo parole di ringraziamento e invito alla preghiera. Ricordiamo gli Arcivescovi emeriti Mons. Antonino Orrù, Mons. Giovanni Dettori, I vescovi nativi della nostra diocesi Mons. Gian Paolo Zedda, Vescovo di Iglesias; Mons. Corrado Melis, vescovo di Ozieri, Mons. Paolo Atzei,nativo di Simala, arcivescovo emerito di Sassari; Preghiamo per il nostro confratello che in questo anno celebrano ricorrenze giubilari, 50o di Don Raimondo Virdis e di don Quintino Manca e il 25° di p. Cletus. Preghiamo per i due diaconi don Andrea Martis e don Mario Meloni, in cammino verso l’ordinazione. Ricordiamo anche le religiose e religiosi della Diocesi che operano in terra di missione. Ricordiamo nella preghiera i nostri seminaristi.
Un ricordo affettuoso per i tanti sacerdoti anziani e malati. Un ricordo speciale per i sacerdoti defunti: Don Salvatore Pinna.
Anche se solo rappresentati da un piccolo gruppo saluto i ragazzi e le ragazze che mediante l’unzione col nuovo Crisma, riceveranno la Cresima durante quest’anno. Saluto i religiosi e le religiose e i laici nelle associazioni di volontariato, nella Caritas e nei vari organismi diocesani e parrocchiali. Infine, saluto con affetto tutto il Popolo di Dio della nostra amata di Ales- Terralba
A tutti voi grazie per il vostro prezioso servizio alla Chiesa di Cristo che vive e cammina qui nella nostra Diocesi. Grazie per il vostro impegno, la fatica, la dedizione anche nei momenti difficili. Chiedo la vostra preghiera per poter servire nel modo migliore chiedendo perdono per i miei limiti. La Madre del Signore, che veneriamo con titolo di Santa Mariaquas, ci aiuti con la sua protezione.
Anche se solo rappresentati da un piccolo gruppo saluto i ragazzi e le ragazze che mediante l’unzione col nuovo Crisma, riceveranno la Cresima durante quest’anno. Saluto le monache di clausura, i religiosi e le religiose e i laici nelle associazioni di volontariato, nella Caritas e nei vari organismi diocesani e parrocchiali. I infine saluto con affetto tutto il Popolo di Dio della nostra amata Chiesa Arborense.
A tutti voi grazie per il vostro prezioso servizio alla Chiesa di Cristo che vive e cammina qui nella nostra Diocesi Arborense. Grazie per il vostro impegno, la fatica, la dedizione anche nei momenti difficili. Chiedo la vostra preghiera per poter servire nel modo migliore chiedendo perdono per i miei limiti. La Madre del Signore, che veneriamo con titolo di N.S. del Rimedio, ci aiuti con la sua protezione.
+ Roberto, arcivescovo