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Parroci, servitori della comunità

Tra la fine di ottobre e i primi di novembre nella nostra diocesi vi sono stati alcuni trasferimenti di sacerdoti e l’ingresso dei nuovi parroci in sei parrocchie.

Don Antonello Muscas, Don Samuele Aru e Don Salvatore Saiu hanno iniziato il loro servizio presso le comunità cristiane a cui sono stati inviati. È questa l’occasione per una breve riflessione sul ministero del parroco. Una certa etimologia del sostantivo “parroco” si rifà al compito, all’inizio riferito a un servizio nell’ambito civile, di “somministrare, offrire”. Mi piace questa definizione che apre una prospettiva di interpretazione del ministero del presbitero-parroco nella linea del servizio. Nelle omelie in cui ho presentato questi tre sacerdoti alle loro comunità, ho ribadito un concetto semplice ma fondamentale: noi sacerdoti siamo solo servitori. Non dobbiamo né vogliamo metterci al centro del cammino della comunità, che deve avvicinarsi prima di tutto a Gesù. I presbiteri-parroci, ma anche tutti i sacerdoti e il vescovo, sono solo i servitori del Signore che hanno il meraviglioso e terribile compito di amministrare i sacramenti del Signore, favorire e far crescere nella relazione personale con Dio, ma senza creare barriere o ostacoli all’incontro di ciascuno. Qui sta tutta la nostra vocazione. Ecco allora spiegato il motivo del perché una comunità cristiana ha bisogno del parroco: perché ha bisogno del Signore presente nell’Eucaristia, vuole ascoltare la Parola di Vita, ricevere il perdono dei peccati, vedere i suoi figli e figlie nascere alla fede attraverso il battesimo, vivere la vocazione matrimoniale come cammino di santità per i coniugi, sentirsi annunciare la speranza di vita nel momento tragico della morte. Il parroco non deve dare parole sue, gesti suoi, liturgie sue, ma quelle che la Chiesa, attraverso il vescovo, gli consegna. Deve essere trasparenza di Dio. Il sacerdote- parroco è allora il servitore della sua comunità. Non il suo padrone, non quello che decide tutto, ma piuttosto colui che sa fare la sintesi dei carismi, sa aiutare i cristiani della sua comunità a crescere nella fede, nella speranza, nella carità. Sa anche uscire per andare a cercare i lontani. Anzi, l’invito pressante che oggi ci fa il Papa è proprio quello di uscire dalle sagrestie per andare a cercare quelli che sono lontani, che si sentono emarginati. Presentando questi sacerdoti, come tutti quelli che già servono nelle diverse parrocchie e uffici, li consegno alle comunità cristiane perché siano accolti con affetto e attenzione, si dia loro collaborazione, vengano aiutati nel loro cammino umano e spirituale. Al tempo stesso consegno a questi parroci le loro comunità parrocchiali. È una grande responsabilità che dovranno rendere effettiva attraverso la preghiera e la donazione di sé. Quando vi sono trasferimenti di sacerdoti, sempre è implicata una dimensione umana che non deve essere trascurata. Le persone stabiliscono legami, si abituano a stili pastorali, sentono sintonia e amicizia per i loro sacerdoti. Ogni partenza e arrivo ha una certa dimensione dolorosa, che però ha il compito di ricordarci che siamo comunque pellegrini e che il motivo fondante della nostra fede e del nostro credo non è il sacerdote, pur bravo, capace, attraente spiritualmente, ma Gesù Cristo. Si tratta in fondo di una prova della maturità cristiana di tutti. Affrontarla con fede, senza chiudersi in nostalgie, ma piuttosto con il desiderio di costruire ogni giorno la comunità cristiana con il nostro contributo, sarà un grande passo nella maturità cristiana.
+ Roberto Carboni

 

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