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Ricordo di don Teodoro Marcias

Così, in punta di piedi, senza glamur, senza trombe e parate, col silenzio veramente fuori ordinanza.

Così semplicemente una quindicina di preti, molti dei quali lo conoscevano, forse, solo di nome hanno dato l’ultimo saluto a mons. Teodoro Marcias.
Sorelle, parenti, amici. I tanti anni passati in prima linea con le stellette ricordati, in lacrime, da un ufficiale dell’esercito in congedo, suo amico e collaboratore dei tempi in cui operava come Capo servizio al Comando militare della Regione Sardegna. Vicino a lui il gruppo degli amici ciclisti. Sì, perché don Teodoro era uno sportivo nato. Ricordo i suoi guizzi e le schiacciate sotto rete, con la sottana nera svolazzante, impolverata nel freddo campo di pallavolo del vecchio Seminario di Cuglieri. Alla fine è rimasto ancora uno sportivo e gli amici del pedale lo hanno accompagnato sempre. Aveva incominciato il suo apostolato in varie parrocchie della diocesi. Arbus; Villacidro e forse altri paesi che non ricordo. Erano i tempi in cui in diocesi di Ales eravamo novantotto preti per quarantacinque parrocchie. Troppi, col pericolo di pestarsi i piedi. L’esodo era opportuno, inevitabile. C’erano preti con gli emigrati in Nord Europa, in America latina e altrove. Nove erano i preti-professori impegnati nelle scuole vescovili di Ales e San Gavino e all’Ordinariato militare per l’Italia dicevano: “finché c’è la diocesi di Ales non abbiamo problemi di vocazioni”. Certo perché in quegli anni siamo arrivati ad essere in dodici cappellani militari provenienti dalla diocesi di Ales.
Da cappellano della Polizia, a volte un po’ irruente con quel suo stile vulcanico, ma sempre in prima fila a difendere i poliziotti quando erano Guardie di Pubblica Sicurezza e l’orario di lavoro era 07-fine e “fine servizio “spesso significava ore 20 o anche 21 di sera, e gli straordinari retribuiti erano solo un pio desiderio e una chimera. La rigidità militarista fomentava ansie, malumori, insicurezze e paure che, spesso, ciascuno si portava a casa trasmettendole alla famiglia. Così l’opera di apostolato di don Teodoro si estendeva, con tanta dedizione, pazienza, partecipazione e incoraggiamento anche a tutte le famiglie. Da cappellano dell’Aeronautica continua, sempre col suo solito stile vulcanico e decisionista, ad assistere tutti, ad essere vicino alla comunità e ai singoli nelle gioie e specialmente nelle difficoltà. E poi, fino alla pensione da Cappellano Capo Servizio al Comando militare della Sardegna, coordinatore di tutti i cappellani militari dell’isola. Non mi interessano più di tanto date, luoghi, incarichi, divise o riconoscimenti ufficiali ma la sua figura e vita di uomo e di sacerdote. Da sempre, fin dalla sua istituzione, l’Ordinariato Militare nel suo compito di assistenza alle Forze Armate, ha posto l’accento sull’attenzione all’uomo, alla persona. In guerra e in pace l’impegno del cappellano ha sempre mirato, prima di tutto, alla difesa della persona umana, dei suoi diritti e dei suoi bisogni. Nella Polizia e nell’Aeronautica, don Teodoro è stato sempre molto attento alla pastorale familiare. Dietro ogni agente o militare, come dentro qualunque divisa, c’è una persona umana, c’è la sua famiglia, quella di origine, quella che ha desiderio di formarsi, quella che si è formata e vuole mantenere o distruggere. I villaggi azzurri dell’Aeronautica erano una vera piccola parrocchia, una piccola comunità, un piccolo centro abitato a volte anche un po’ chiuso e staccato dal resto del territorio ma capace di una vita intensa di comunità parrocchiale. Il cappellano-parroco faceva anche da anello di congiunzione col resto del territorio parrocchiale, collaborando con i parroci viciniori impiegando la sua opera e la propria disponibilità a favore della parrocchia sul cui territorio insisteva la sua caserma. Don Teodoro è stato sempre molto attento alle necessità e bisogni di tutti. Disponibilità e presenza, senza ingerenze indebite o entrate a scivolone. Era un punto sicuro di riferimento.
Non è vecchiume, o roba del passato remoto, è vita vissuta ancora d’attualità perché l’uomo con tutto il progresso, specialmente e solo tecnologico di questi ultimi 50 anni, non è migliorato di molto. Purtroppo.
Sacerdote, amico, ciclista e poeta. Così lo hanno salutato i suoi amici del gruppo ciclisti. Uno di loro, primario a riposo di un grande ospedale, mi ha detto: “Avrei voluto suonare, con l’armonica a bocca, la sua canzone preferita, tante volte mi ha chiesto di suonargliela e ripeterla…ma mi hanno detto che non era il caso… La sua musica preferita era “Non poto reposare, pazienza…”. Don Teodoro, hai lavorato tanto e bene nella vigna del Signore. Ora puoi riposare. In pace. Il tuo requiem è diventato Alleluia.
Don Costantino Locche

 

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