Nelle nostre parrocchie momenti di adorazione al Santissimo Sacramento
La quaresima è, per sua natura, un richiamo alla vita interiore attraverso l’ascolto della Parola di Dio, la frequenza alle celebrazioni, specialmente alla Santa Messa, e ai Sacramenti specie quello della Riconciliazione. Non meno importanti sono le pratiche di devozione di carattere personale o comunitario come Stazioni quaresimali (ad immagine delle stationes romane), Via Crucis, meditazione sulla Passione del Signore e adorazione del Santissimo Sacramento. Proprio quest’ultima ha mantenuto, in quaresima, la tradizionale forma delle SS. Quarantore. Questo arco temporale di adorazione prolungata, richiama il significato biblico del numero quaranta (di cui si è già parlato nello scorso numero di N.C.) ed è associato anche al numero di ore nelle quali Gesù è rimasto nel sepolcro fino alla sua risurrezione secondo il computo fatto da Sant’Agostino. Da qui è nato l’uso di deporre l’ostia consacrata, il giovedì santo, in un apposito altare che era comunemente chiamato “sepolcro”. L’origine di questo culto, detto Oratio quadraginta horarum, è incerta. Ne troviamo testimonianza già al tempo di Papa Alessandro III (1159–1181) che nella sua visita a Venezia con l’imperatore Barbarossa, nella Quaresima del 1177, riceve l’istanza di arricchire di indulgenze questa pratica di preghiera di quaranta ore dal mattino del Giovedì al mezzogiorno del Sabato Santo. Papa Alessandro accoglie la richiesta e permette che, per tale circostanza, si esponga l’Eucaristia alla vista del popolo. C’è da notare che fino ad allora il Sacramento non viene mostrato alla vista dei fedeli, ma l’adorazione avviene dinnanzi ai tabernacoli. La celebrazione delle Quarantore così come la conosciamo oggi, invece, ha la sua iniziazione nel secolo XVI ad opera di diversi sacerdoti tra i quali Antonio Bellotti di Ravenna, che nel 1527, anno del Sacco di Roma, invita a celebrarle non solo durante il triduo della Settimana Santa. Milano è la “culla”, per così dire, di questa pia pratica, la cui approvazione ufficiale avviene soltanto nel 1537 attraverso un breve pontificio, quando pesa la minaccia turca e si diffonde in Europa l’eresia protestante. Tra coloro che si prodigano per la diffusione di questo esercizio va menzionato Sant’Antonio Maria Zaccaria, fondatore dei Barnabiti, mentre San Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano, ne dà un primo ordinamento nel 1576. San Filippo Neri, invece, le organizza a Roma già nel 1550 sia nella chiesa di San Salvatore in Campo, sia in alcune note confraternite come quelle della Trinità dei Pellegrini, dell’orazione e morte oppure in quella della Pietà dei carcerati. Altro incentivo è dato dai Cappuccini che, attraverso la predicazione popolare ne promuovono la pratica. Mentre costoro le organizzano secondo una forma penitenziale richiamando principalmente i misteri della passione, i Gesuiti privilegiano una forma grandiosa soprattutto in occasione dell’elezione dei Pontefici e i Giubilei. Lentamente la fisionomia delle Quarantore si determina come una piccola e intensa “missione popolare” e assume un forte richiamo alla conversione con la preghiera, l’adorazione e la confessione. Prima delle grandi rivoluzioni industriali, politiche, sociali e l’avvento dell’illuminismo, le Quarantore sono vissute come particolare momento di grazia, ma l’avvento della secolarizzazione e l’esaltazione del razionalismo, con la critica sfrenata alla religione, ne affievolisce la portata e fa venir meno, gradualmente, ogni pratica devozionale alle quali spesso è, addirittura, associata un’accezione negativa. La fede incide sempre meno nella vita dell’uomo, forse anche in coloro che mantengono la pratica religiosa e la frequenza alle celebrazioni. Le forme di evangelizzazione, nuove e antiche, devono stare a cuore di pastori e fedeli e devono essere promosse in agni ambito della vita. Il 16 ottobre 2011, in occasione della Messa per la nuova evangelizzazione, Benedetto XVI ha affermato che i nuovi evangelizzatori: “sono chiamati a camminare per primi in questa Via che è Cristo, per far conoscere agli altri la bellezza del Vangelo che dona la vita. E su questa Via non si cammina mai soli, ma in compagnia: un’esperienza di comunione e di fraternità che viene offerta a quanti incontriamo, per partecipare loro la nostra esperienza di Cristo e della sua Chiesa. Così, la testimonianza unita all’annuncio può aprire il cuore di quanti sono in ricerca della verità, affinché possano approdare al senso della propria vita”.
Don Roberto Lai